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Se guardiamo da vicino i capelli di Shiva, possiamo scorgere una piccola figura femminile con uno zampillo d’acqua che esce dalla sua bocca. E’ la dea Ganga, che oggi chiamiamo fiume Gange.

Molto tempo fa viveva un principe chiamato Bhagirata. Sagar, re di Ayodhya, era suo avo e padre di 60 mila figli. Era un grande re che desiderava essere ancora più grande. Per fare questo, praticava il rito chiamato Ashwamedha, che consisteva nel liberare un cavallo in modo che galoppasse il più lontano possibile; dove il cavallo si fermava, lì arrivava il regno. Per 99 volte Sagar eseguì questa cerimonia e per 99 volte il suo territorio si allargò. Al centesimo rito Indra cominciò ad allarmarsi, temendo che Sagar puntasse ad annettere al propio regno anche lo Svarga. Così il dio rubò il cavallo e lo nascose nel Patala, il regno sotterraneo, legandolo vicino a Kapila Muni, un saggio in meditazione proprio nel Patala. Tutti i figli di Sagar andarono a cercare il cavallo. Trovandolo vicino a Kapila Muni, trassero la conclusione che proprio lui fosse il ladro e cominciarono a picchiarlo. Può essere pericoloso anche solo toccare un saggio in meditazione. Quando i principi attaccarono Kapila Muni, il suo terzo occhio si aprì e li maledisse riducendoli in cenere. Il peso karmico dell’azione compiuta ricadde sugli eredi e Kapila, per mitigarne il peso, disse che i figli di Sagar sarebbero stati liberi nel momento in cui fossero stati lavati dalle acque del Gange. A quei tempi Ganga esisteva solo sotto forma celeste, visibile nel cielo come Via Lattea, ma la richiesta di Kapila Mundi la costringeva a manifestarsi sulla terra. Tuttavia, se fosse caduta direttamente sulla terra, senza nulla che potesse contenerla, avrebbe provocato disastri e distruzioni. Così Ganga chiese agli dei di prenderla durante la caduta, per ammorbidire l’impatto. L’unico dio abbastanza forte per questo compito era Shiva, che si offrì di accoglierla tra i suoi capelli.