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Il saggio Vyasa fu testimone degli eventi contenuti nell’epica conosciuta come Mahābhārata, tuttavia i suoi ricordi erano mescolati e confusi nella sua mente. In profonda meditazione ricevette da Brahma il suggerimento di chiedere a Gaṇeśa di fare da scrivano del poema. Così decise di invocare il dio dalla testa di elefante affinché questi lo aiutasse a fare chiarezza, dipanando i nodi dei suoi ricordi, organizzando i suoi pensieri e, infine, mettendoli nero su bianco. Gaṇeśa si prestò, dunque, a fare da scriba a Vyasa, impegnandosi a riportare, sotto dettatura e senza interruzioni, la grande opera epica che contiene ogni conoscenza.

Durante la dettatura, tuttavia, la penna con la quale stava scrivendo Gaṇeśa si ruppe improvvisamente. Il dio, non avendone un’altra a portata di mano e avendo promesso di non interrompersi, decise di sacrificare una propria zanna. Senza pensarci due volte ne spezzò una e la intinse nell’inchiostro per portare avanti il proprio compito, anteponendo la conoscenza e la saggezza alla bellezza.

Si dice che questo episodio sia accaduto nel giorno conosciuto come Akshayya Tritiya, ossia il terzo giorno di luna calante del mese conosciuto come Vaishaka.