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Varkala 2024 – giorno 4

“Non c’è nulla che valga la perdita della tua pace interiore”

Questa mattina, dopo la pratica, ci siamo collegati con il guru dell’ashram. Dalla sala dove mangiamo, seduti a terra su un enorme pezzo di moquette verde prato, ci siamo collegati vi zoom. Anche questa è l’India. Il contrasto tra antico e moderno. L’usa del moderno al servizio dell’antico. Qui all’ashram tutti hanno il cellulare. Spesso trovi qualcuno seduto a terra che bisbiglia guardando il telefono. Non sta guardando Instagram, né Facebook. Sta studiando un mantra.

Il guru-responsabile dell’ashram stamattina è in grande sbatta. Si vede da come si muove, si vede da come arriva verso di noi, che stiamo finendo il nostro chai, per dirci che bisogna scendere: “Babà is already there!” E non dobbiamo farlo aspettare!

Entriamo nella sala che stanno ancora smanettando, non si sono ancora collegati. Ci sediamo a terra, ovviamente tutti in fondo alla sala. Altrettanto ovviamente ci chiedono di spostarci avanti, più vicini allo schermo. Max dovrà tenere il vassoio con su una candela e farlo girare in tondo mentre il guru e i ragazzi dell’ashram canteranno all’apertura del satsang (letteralmente satsang significa “riunirsi per la verità”).

Il canto di stamattina è molto più vigoroso e presente del solito. Poi cala il silenzio. Per modo di dire. Qui il silenzio non è silenzioso, è fatto di clacson in lontananza, di suoni della natura, la mattina gli uccelli, la sera le rane; questa notte e questa mattina di tecno. Deve esserci un rave da qualche parte nelle vicinanze. Su una barca. Perché la musica sembra muoversi.

Il guru ha lo sguardo acceso, simpatico. Non ha l’aria seriosa di molti guru, che cercano di calarsi nel personaggio. Racconta di come 25 anni fa abbia trovato il posto per fondare l’ashram: “sul fiume sacro, dove Ganga scorre a Nord e e il sole sorge a Est”.  Ci racconta di essere venuto in Italia: “L’aria è buona, i passaggi bellissimi. Si sta bene. Qui in India la superficie è disordinata, ma se riesci ad andare oltre trovi la pace. Così questo pezzo di terra su sui ho costruito l’ashram porta in sé questa pace e permette di trovarla in se stessi”.

“Si dice che immergersi in Ganga pulisca da tutti i peccati e ogni giorno tantissimi induisti vengono a immergersi nel fiume da tutte le parti dell’India e del mondo. Almeno una volta nella loro vita. Vorrei che fosse così facile”. Sorride.

“Se guardate la superficie del Gange la troverete sporca: roba che vi galleggia sopra, bolle, detriti. Eppure si dice che immergersi purifichi. Chi lo fa chiude gli occhi, si tappa bocca, naso e orecchie e si immerge visualizzandosi, all’uscita, puro. Questo è quello che facciamo (o che dovremmo fare)  ogni giorno attraverso la nostra pratica: chiudere occhi, naso, orecchie e bocca e immergerci per trovare le pace dentro di noi”

“Il fiume è la metafora della vita, che scorre e che ci fa cambiare costantemente. Quello che siamo adesso non è quello che eravamo ieri. Le due sponde che contengono l’acqua (e la nostra vita) guidandola sono Sadhana e Seva. Sadhana è l nostra pratica, fatta di qualsiasi cosa che, ripetuta ogni giorno, costantemente, ci permetta di trovare la nostra pace interiore e di riconnetterci col tutto. Può essere qualsiasi cosa: la pratica degli asana, la meditazione, la capacità di prendersi 10 minuti per liberare la propria mente. Seva è la capacità di fare qualcosa per gli altri, senza pensare al proprio tornaconto e vantaggio. Darsi agli altri, non per ricevere qualcosa in cambio”

 

Siamo tornati dopo un giro al mercato antico, vicino a Visvanath Temple, Godolia, un dedalo di stradine minuscole, si passa a malapena in due affiancati, dove gli indiani riescono a passare anche con i motorini. Colori, odori e rumori ci sono tutti quanti. Tra i posti visitati, ci tengo a citare il posto dove producono e vendono gli olii essenziali. Per raggiungerlo abbiamo fatto una maratona, cercando di non farci seminare dal proprietario del negozio di vestiti, che sembra più volerci seminare che accompagnare. Dopo aver girato come trottole (e qui mi chiedo: perché tutte le volte che dobbiamo andare da qualche parte il percorso è complicatissimo e lunghissimo e devi passare dai posti più impensati e assurdi, e quando devi tornare indietro ti accorgi che stava girare l’angolo per ritrovarsi al punto di partenza?) Arriviamo in un vicolo imboscatissmo e loschissimo. Entriamo in una porticina e ci troviamo davanti a delle mucche. Al chiuso. 

Tornati all’ashram scopriamo che la musica da rave c’è ancora, se possibile ancora più alta. Mentre mangiamo chiedo ad Ankita, la moglie di Sudanshu, se sia sempre così in quella zona. Il guru parlava di pace e silenzio, ma qui è Ibiza. E così scopro che si tratta di un matrimonio! Probabilmente la cerimonia si è svolta ieri sera e da stanotte stanno festeggiando in barca, attraccati sotto il nostro ashram.

 

Nel pomeriggio alcune del gruppo hanno partecipato alla preparazione della cena, che è stata un’esperienza mistica: riso, paneer con una salsa della quale non ho capito il nome e un dolce, molto dolce,  al latte buonissimo, da far cadere i denti. Domani mattina ci aspetta un giro sul Gange. Partenza alle 5. Faccio un pisolino.

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