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Varanasi 2024  – giorno 2

Questa mattina ho pensato che me la sarei presa comoda. Il giorno dopo il viaggio è meglio fare le cose con calma, si sa. Così ho aperto la giornata con una pratica di Yin Yoga, per rimettere in sesto il corpo dopo il viaggio. Posizioni per anche, spalle schiena e poi un bel kriya per scaricare la tensione. Una bella doccia con l’acqua che non ustione… sì, perché qui, vista la temperatura, se ti lavi la sera usando l’acqua che esce dal rubinetto rischi di lavarti via anche il primo strato di pelle, così Tejbal, il responsabile del nostro ashram, ci ha consigliato di raccoglierla la mattina per la sera. Colazione super con il masala chai di Ganesh (ebbene sì, il nostro cuoco si chiama proprio così), frutta fresca e una specie di semolino dolce buonissimo, giuro.Non so perché, ho sempre pensato che il cibo in ashram non fosse buono.

Finita la colazione ci organizziamo faticosamente (perché siamo in 17, mica per altro) per andare a fare un giro a Varanasi, sui ghat. Ma sì, due passi per far vedere un po’ i dintorni e cominciare a familiarizzare. Anji, uno dei ragazzi che vive qui, sempre molto gentile e accudente, comincia a farci raccomandazioni di tutti i tipi: copritevi con un telo bianco spalle e testa, portate l’acqua, mi raccomando il telo, l’avete presa l’acqua?!

Arrivati al gita ci rendiamo conto di tutta la sua preoccupazione. Una Varanasi così poco popolata non l’avevo ancora vista. Un caldo folle che ti si sciolgono pure i pensieri in testa.

Ci dividiamo; qualcuno va a fare un giro, qualcuno (indovinate chi) si infila in una libreria a fare incetta di libri), qualcun altro in un bar ad aspettare chi è a fare incetta di libri (indovinate chi).

Se avete risposto: libreria-Silvia, bar-Max avete indovinato!

Nel pomeriggio vuoi non andare a Viswanath temple? Il tempio più antico di Varanasi dedicato a Śiva? Dove è difficilissimo entrare per gli occidentali e una coda media dura 3 ore?

È il primo giorno dopo il viaggio, la cosa ideale!

Tejbal ci consiglia di andarci via fiume, in modo da saltare il traffico. Mossa top numero uno. La gita in barca è piacevolissima e possiamo avere un’idea dei ghat di Varanasi (le scalinate che portano al fiume). Il secondo problema, quello della folla, lo superiamo brillantemente con un aggancio strategico: il bramino di turno ci aiuterà a entrare. Ma attenzione! Pere entrare occorre portare passaporto e fotocopia del passaporto. Faccio un milione di raccomandazioni a questo riguardo. Ci prepariamo per andare. Avete tutti il passaporto? Max noi siamo a posto? (I nostri li ha ritirati lui, una volta terminata la registrazione presso l’ashram). Bene, andiamo.

Arriviamo ai piedi della scalinata che ci porta al tempio. Dobbiamo lasciare tutto in braca, persino gli orologi. Vedo Max con un solo passaporto in mano. 

Max, perché solo uno? Eh, il tuo te l’ho messo nello zaino l’altro giorno.

Ma tu non me l’hai detto, mi hai detto che i passaporti li avevi ritirati e li avevi tu.

Ah.

Dramma. Ho rotto le palle a tutti per i documenti e io sono senza.

Sudanshu ci chiede la foto del passaporto. Dice che proverà così.

Andiamo, vediamo cosa succede. E se non posso entrare si vede che doveva andare così. Tornerò!

L’ingresso è proprio al di là della scalinata davanti a noi, ma ovviamente il posto dove si fanno i biglietti d’ingresso è imboscato esattamente dall’altra parte. Dopo aver attraversato una rete interminabile di viuzze, più o meno odorose, attraversato strade esageratamente affollate, ed essere stati aiutati da un anziano che rischiava la vita bloccando il traffico per farci passare urlandoci in italiano: SPARISCI! E sorridendoci amorevolmente, arriviamo alla biglietteria dove prendono tutti i dati (prego, sedetevi, ci impiegheremo un po’) e il nostro contatto, un maranza con occhiali da sole a specchio, turbante (per il caldo), longhi verde mela e pantaloni da Alì Babà, comincia a fare il giro per metterci al collo delle sciarpe caldissime con su il simbolo del tempio. Ci dice di tenerle su durante la visita. La mette anche a me. Comincio a pensare che forse sarò anche io del gruppo.

Finalmente siamo pronti, possiamo entrare con il boss dei templi, mentre ancora il nostro amico ci saluta con un altro SPARISCI!

Dopo due controlli e perquisizioni, metaldetector e occhiate sospettose veniamo infilati in una coda vuota, una non-coda, parallela a quella infinita piena di gente in attesa di poter passare davanti alla linga. Una questione di 2 secondi, questo passaggio, ma che per loro è molto importante. Per questo stanno ora in coda.con il collo sciarpa e sudato passiamo davanti all’idolo.  La loro devozione mi colpisce sempre. Una fiumana di gente che sfila davanti a questa statuetta che si trova più in basso. Intorno sono stati posizionati dei piccoli scivoli dai quali i devoti lasciano scendere le offerte, per la maggior parte fiori.

Il nostro passaggio è fugace, poi ci mettiamo in un angolo del tempio, seduti a terra e Sudanshu ci fa cantare 11 volte aum per Śiva. Accanto a noi, un gruppo di indiani ascolta una guida (credo), vestita di bianco, con un turbante arrotolato in testa, che comincia a gorgheggiare come un matto. Il nostro boss lo guarda dal fondo della sala, un po’ annoiato, col telefono in mano. Sudanshu lo chiama. Il boss si alza e si incammina verso di noi, ancora guardando il telefono, occhiali a specchio. Mentre ancora sei sta infilando il telefono in tasca parte con un mantra. L’altro lo sente e alza il tono, ma il nostro non si lascia intimorire e, passeggiando nervosamente avanti indietro, continua come un treno. Eminem spostati davvero, se non vuoi sfigurare.

L’altro finisce il suo canto. Il nostro si toglie gli occhiali per l’ultima parte. È ormai tronfio, sa di aver vinto, me lo dice il suo sguardo consapevole. Si ferma, si guarda intorno.

Are you satisfied?

Non so, gioia, dimmelo tu, ma dal tuo sguardo direi di sì.

 

Tornando indietro passiamo da un tempietto nepalese (a proposito, bisogna organizzarci per andare in Nepal) dedicato a Pashupati. Un vero gioiellino nascosto in un angolo silenzioso, da dove si vede l’attracco dove si trova la nostra barca. Questo tempietto è un piccolo quadrato, contenete un’atra lingam. Per accedere (è minuscolo, la pianta sarà 2metri x 2) si passa da una porta di legno scuro, tutta intarsiata. Ma proprio fuori da questo tempio comincia il delirio delle foto con gli indiani, che cominciano a fermarci e accalcarsi. Sudanshu ride. Faticosamente riusciamo a tornare alla barca e partiamo per tornare indietro, non prima di esserci fermati a vedere dal fiume la cerimonia che si teine ogni sera (e ogni mattina) in onore del Gange. Speroniamo un paio di altre barche, per incastrarci per bene e guadagnarci il nostro posto vista arti (la cerimonia). Me la ricordavo più breve, ma è sempre suggestiva. Siamo in mezzo al delirio. Mi guardo indietro pensando a quanto ci vorrà per uscire da questo groviglio di barche.

E invece, a cerimonia non ancora terminata, Un po’ come allo stadio, quando a 10 minuti dalla fine il pubblico comincia a defluire per trovare meno coda e tu li guardi pensando: ma che tifosi, l partita si guarda fino all’ultimo), le barche accendono i motori e tempo qualche secondo ci troviamo in mezzo al fumo nero e barche girate in tutte le direzioni possibili e immaginabili. Penso al peggio, perché sull’acqua guidano come per strada, eppure proprio come succede a terra, il disordine in India ha un suo ordine particolare. Cominciamo a filare verso l’ashram, vedendo i ghat illuminati.

 

Domani però riposo e ragazzi! Ah, no.

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