A causa di una tremenda siccità, il pio re Bhagīratha decise di impegnarsi in una pratica austera per chiedere alle forze celesti di liberare il fiume Gange e farlo discendere sulla terra.
Per mille anni si sottopose a terribili pratiche. Brahmā, infine, gli si manifestò per esaudire il desiderio.
Era, però, necessario ottenere la grazia di Śiva, affinché il carico possente d’acqua del fiume non frantumasse la terra. Śiva avrebbe dovuto intercettare la caduta, ricevendo tutto il peso.
Bhagīratha si recò sull’Himālaya e lì trascorse un anno in pratiche ascetiche, digiunando e vivendo di acqua e aria, in piedi su un solo piede, con entrambe la braccia sollevate in alto, mantenendo la sua forza di volontà concentrata solo sul dio. Alla fine Śiva si mostrò sensibile allo sforzo del re e acconsentì a frapporsi tra il fiume in caduta e al terra.
Il Gange cadde così sulla sua testa; la chioma arruffata e annodata in cima al capo catturò e rallentò il fiume, che iniziò a serpeggiare cadendo prima sulla’Himalaya e poi nelle pianure indiane.