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Ottavo giorno- E Chamundi fu

Questa mattina il mio gruppetto ha praticato sul tetto. Nella shala c’erano solo gli ashtangi perché c’era nientepopodimenoche un fotografo per immortalare la pratica. Il nostro Rameshji si presenta elegantissimo: camicia bianca e longi di rappresentanza. I praticanti erano stati avvertiti di vestirsi bene. Noi del tetto eravamo, invece, praticamente in pigiama. La pratica sul tetto è la mia preferita. L’arietta, il sole che fa capolino dalle nuvole, il rumore delle foglie delle palme che, come giustamente faceva notare Sju Jen, ricordano il suono del palo a agua. Ovviamente domani replicheremo per salutare degnamente Mysore.

Finita pratica e colazione abbiamo appuntamento con il nostro gruppo di driver per andare in cima a Chamundi Hill per vedere il tempio dedicato a Chamunda, la dea protettrice di Mysore, un po’ la Sant’Ambrogio di qui, per intenderci.

Prima di partire avviso che probabilmente non riusciremo a entrare. L’ultima volta ci siamo mossi all’alba e abbiamo desistito perché la coda era interminabile.  Ci sistemiamo sugli scalini e aspettiamo che arrivino i tuk tuk. Ovviamente alle 11.30 non c’è nessuno fuori. Tocca fare una telefonatina. Ne arriva uno. Gli ricordiamo che ci servono 7 tuk tuk. “No problem!”.

Dieci minuti dopo una scena da easy rider. Dal fondo della via vediamo arrivare una fila di tuk tuk rombanti. Un paio parcheggiano anche con una sgommata spettacolare. Siamo pronti. I team si formano e via.

Il viaggio non è breve, me è piacevole. Oggi c’è un’arietta primaverile e il tempio si trova in cima a una collina.

Arrivati dobbiamo percorrere un serpentone di bancarelle. Ovviamente ci impieghiamo un tot, perché ogni tanto qualcuno si ferma. Ci aspettiamo a vicenda davanti al tempio, mentre vediamo sfilare una serie di personaggi più unici che rari. Spicca tra tutti un tizio in gonna bianca e casacca rossa con profili oro e conchiglie bianche, nappe pendenti gialle, verdi, rosa, viola e fucsia, ghirlanda di gelsomini al collo e una parrucca che assomiglia a un topo spiaccicato, sulla testa.

Butto l’occhio per vedere quanta coda ci sia e calcolare più o meno i tempi e mi accorgo che… non ce n’è! Presto! Approfittiamo dell’evento più unico che raro. Paghiamo i biglietto e ci infiliamo nel serpentone. In men che non si dica ci troviamo davanti alla stanza dove si trova la statua della dea.

E’ importante sapere, quando si va in visita a un tempio induista, che i fedeli non si fermano in contemplazione davanti alla statua. Probabilmente a causa del numero di avventori, i fedeli passano fugacemnete davanti alla statua, per cui la visita dura al massimo 30 secondi, soprattutto in un posto così affollato come il tempio dedicatoa Chamunda. La cosa importante è guardare negli occhi la statua. Entriamo dalla stretta porta e ci lasciamo trascinare dal piccolo vortice che si crea. E’ importante non cercare di guidare il movimento e la direzione, ma lasciarsi andare e trasportare. Davanti alla dea ci sono anche dei “buttafuori” che aiutano a non creare blocchi. 

In un lampo ci troviamo fuori dalla stanza. Qualcuno mi guarda perplesso. Lo capisco, ma l’esperienza sta proprio nel lasciarsi andare, nel non resistere e lasciarsi trasportare dalla corrente. E direi che questo gruppo l’ha fatto benissimo. 

Cesario viene caricato di laddu, i dolci tipici indiani, forse i più famosi, che si trovano spesso fuori dai templi. Lo vedo uscire con un sacchetto pieno. “Me li hanno regalati e non so perché”.

Per tornare indietro facciamo la scalinata. E’ un percorso molto bello che passa in mezzo agli alberi e ci permette di vedere anche la statua di Nandi, un enorme bue, che rappresenta il mezzo di trasporto di Śiva e Parvati. Il primo scalino, sul quale è inciso il numero 1000, è impietoso. Edo mi guarda (lui l’ha già fatta a luglio la scalinata, tra l’altro con la pioggia), gli faccio segno di tacere, e cominciamo a scendere chiacchierando e facendo foto (le carico sulla pagina di FB, per chi le volesse vedere).

In poco tempo ci troviamo giù. Gambe tremanti, polpacci doloranti, ma potremmo essere messi peggio. Tra lunedì e oggi abbiamo fatto circa 2000 scalini. Niente male.

Nel pomeriggio ci rilassiamo un po’. Ognuno fa le proprie cose, e la sera andiamo fuori a mangiare per festeggiare l’ultima sera (domani sera mangeremo qui pe rpoi partire alla volta dell’aeroporto) e il compleanno di Valentina.

Per chiudere non può mancare un salto dal nostro omino di Lego. Edo lo abbraccia e gli dà appuntamento alla prossima.

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