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Finalmente, dopo 4 deliranti e lunghissimi anni, sono riuscita a tornare in India. Nello stato confuso e ovattato in cui mi trovo, dopo 9 ore di aereo e 4 di pullman, faccio ancora fatica a rendermene conto. Oscillo tra la sorpresa di essere finalmente qui e la sensazione di essere qui da sempre.

Come al solito il gruppo mi si presenta, sulla carta, un misto scampi-calamari e mi chiedo come andrà. I partecipanti andranno d’accordo? Come sarà lo spirito del viaggio?

 

Il gruppo si forma come un puzzle strada facendo: chi si organizza per incontrarsi al Malpensa Express, chi in aeroporto, chi si aggiungerà a Bangalore, chi scrive in maniera compulsiva condividendo nel gruppo ogni mossa, chi mi fa temere che si sia dimenticato che ha un viaggio in programma perché non scrive nulla, chi solo in Bahrein si accorge di compagni di viaggio che a Malpensa non aveva notato. Il gruppo c’è e rispecchia i due organizzatori.

 

I voli scivolano via in maniera dignitosa, tra un bambino che piange per tutta la durata della prima tratta e per la seconda, (perché no, non è del Bahrein, è indiano e ci tocca per tutte le 9 ore), e fiumi di lacrime versate da chi ha scelto il film sbagliato in volo. Siamo ben assortiti.

 

Arrivati a Bangalore siamo praticamente a metà del viaggio; i voli sono, sì, andati, ma ci manca il trasferimento in pullman fino a Mysore, che è sempre l’esperienza grazie alla quale capisco perché gli induisti sono così religiosi; ma soprattutto ci manca il tanto temuto controllo dei passaporti. E’ questo il momento che più mi mandi in sbattimento perché dura sempre una quantità di tempo e di scartoffie che non riesco mai a spiegarmi. Questo giro in aereo non ci danno nulla da compilare, così penso che dopo il covid abbiamo deciso di snellire le procedure, evitando la pantomima del modulino stampato su carta-velina dove ti chiedono di riassumere tutta la tua vita nello spazio di 4 caselle, informazioni che hai già dovuto dare in fase di richiesta del visto. Illusa. La situazione è ancora più fantozziana. Sull’aereo si sono dimenticati darci il malefico modulo, così perdiamo altro tempo abbarbicati su un tavolino a compilarlo cercando di recuperare tutte le informazioni necessarie. Al controllo ci capita un simpatico indiano che decide di far partir un quizzettone interrogando in un inglese davvero improbabile Edo, che lo guarda con gli occhi fuori dalle orbite: “Uot ior nem?” …  “Ehm Edoardo, Ediardo Gandossi” … l’indiano sorride, dondola la testa … “ripit” … “Mamma, ma che problema ha?”

Superata la grande prova del custode dei segreti dell’India misteriosa, e dopo aver scoperto che una valigia del gruppo è rimasta in Bahrein per le vacanze estive, ecco la seconda prova che ci viene sottoposta per mostrare di essere degni di questo viaggio: la SIM indiana del telefono. L’ufficio dove farla si trova nascosto in un angolo remoto della sala degli arrivi. La troviamo dopo qualche girovagare, ma sembra vuoto. Mi avvicino per vedere se ciano affissi degli orari e mi accorgo, con un certo spento, che 3 figuri giacciono a faccia in giù sulle scrivanie, al buio.

“Mamma, gli hanno sparato!” “No, Edo, credo stiano dormendo”. Mentre parliamo due dei tre scattano su, risorgendo come Nosferatu dalla bara e, come se non fosse successo nulla, ci chiedono quante sim vogliamo. Da lì in poi seguono due ore (vere, non per dire) di delirio, foto, selfie, ammiccamenti, passaporti, telefoni e sim gestiti dai Antonio e Diego, così sono stati ribattezzati, mentre l’uffcetto si anima di strani personaggi che manco in Star Wars. Il terzo rimane seduto di spalle sulla sedia, con la testa appoggiata alla mano chiusa a pugno. Dorme ancora Si sveglia solo a fine turno, quando si alza improvvisamente e se ne va senza fare una piega.

 

Conquistata anche la sim ci aspetta l’ultima prova: il viaggio da Bangalore a Mysore con il pulmino. Da lontano vediamo comparire un non-so-bene-cosa addobbato con ciuffi, pendagli, immaginette e lucine natalizie. E’ lui che ci trasporta attraverso le solite 4 ore di montagne russe e dubbi sul proprio futuro, o meglio dubbi se un futuro ci sarà.

 

Il premio finale. Però è davvero strepitoso. Ci fermiamo proprio davanti alla shala di Rameshji, che ci aspetta con un sorriso a 194864 denti, felice e orgoglioso allo stesso tempo. E mentre scendiamo la scaletta parte una cacofonia di trombetta, assordante. Ci giriamo e ci si para davanti un toro più addobbato del nostro pulmino accompagnato dal simpatico suonatore.

 

Benvenuti in India. Che il viaggio abbia inizio.

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