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Una giornata che ne vale 10, un programma impegnativo, quello di oggi, soprattutto perché abbiamo in corpo il jet-lag, per cui la pratica alle 6.30 ha il sapore di una levataccia alle 3. Sento da lontano, molto lontano, la voce di Max che mi chiama. Cerco di capire perché, lo realizzo, e valuto la possibilità di ricorrere alla tecnica dell’opossum e fingermi morta. 

 

 

 

Non ci casca, ormai ha mangiato la foglia, non funziona più. Apro un occhio e vedo il suo sguardo fisso. Niente, mi tocca. Striscio verso il bagno, attendo un pochino, esco. E’ ancora lì ad aspettarmi. Ha vinto lui.

Saliamo in cima alla palazzina che ci ospita. Ramesh ha fatto costruire una shala tutta vetrate. Per non trasportare il mio tappetino, bellissimo, ma pesante quanto un materasso a molle, ho deciso di prenderne uno qui. Per sperimentare nuovi orizzonti ho deciso di prenderne uno di stoffa, tipo scendiletto, che fa molto indiano frugale. Il mio nuovo tappetino da yogi frugale pesa come le vecchie coperte della nonna.

Comincia la pratica. Chi mi conosce anche solo un pochino sa del mio rapporto con la Prima Serie dell’Ashtanga: pessimo. Decido comunque di partecipare alla pratica di gruppo, per oggi, per vedere cosa succede; a me e soprattutto alla mia spalla. Iniziamo con una sfilza che mi sembra infinita di saluti al sole. A un certo punto temo che a furia di salutare si arriva al tramonto, ma Ramesh annuncia l’inizio delle standing postures. Segue le istruzioni cadenzate; teste che scendono, gambe che salgono, anche che si aprono schioccando, respiri turbinosi, nomi in sanscrito che si mescolano a parole in inglese. Vado avanti fino a quando la spalla si fa sentire; comincio a sentir tirare e pungere. Decido di eliminare i vinyasa per non caricarla e di applicare piccole modifiche che mi rendano questa pratica più “amichevole”.

 

Finita la pratica andiamo a fare colazione e poi via, il nostro bus ci aspetta per una giornata di gite ai templi: Melukote e Shravanabelagola. Chi conosce questi posti si starà già rotolando dal ridere, lo so. Questi templi si trovano sul cocuzzolo di due colline e sono raggiungibili solo attraverso una quantità infinita di scalini. Che facciamo a piedi nudi. Dopo il viaggio della speranza per arrivare in India, questa gita potrebbe essere letale, ma Ramesh sa come caricarci: mette su una compilation di quelli che indichiamo come gli Aqua indiani. Ramesh è raggiante, coi suoi Rayban a goccia e il sorriso smagliante. Come spesso capito quando andiamo in giro con Ramesh, siamo gli unici occidentali in giro per templi, così veniamo fermati una quantità innumerevole di volte per fare foto, selfie, rispondere a domande, salutare, ma rispetto ai primi anni, mi sembra che ci sia un po’ più di “dimestichezza” rispetto alla nostra presenza.

 

I templi di Melukote sono dedicati a Vishnu: uno nella forma di Chelunarayana, “la sua forma bellissima”, il secondo a Narasimha, l’avatara metà uomo, metà leone. Come sempre Ramesh si muove agile tra bramini, ingressi laterali, transenne e divinità. La giornata è scandita dalle fotografie che facciamo, che ci fanno, che ci facciamo fare e Ramesh è scatenato; malauguratamente trova un angolino deserto dove comincia a intrecciarci in posizioni improbabili e coreografie hollywoodiane per uno shooting fotografico da far impallidire (metterò un po’ di foto sui social). Il tempio di Shravanabelagola, uno dei templi più belli e suggestivi, si trova in cima a una scalinata di 1008 scalini. Arrivo in cima che sono una ciofeca, mentre Edoardo saltella su e giù come se nulla fosse. Arrivati in cima, però, lo spettacolo ripaga tutta la fatica: in mezzo al tempio si staglia una statua alta 18 metri, ricavata da un unico masso di granito nel 981 d.C. Rappresenta il figlio del fondatore del Jainismo, il saggio Gomateswara, originariamente chiamato principe Bahubali, figlio più giovane dell’imperatore. Quando il padre rinunciò al proprio regno i due figli si batterono per decidere il successore. Bahubali ebbe la meglio, ma ben presto si rese conto della futilità della guerra e cedette il regno al fratello. Si dice che la statua sia visibile a 30 km di distanza, ma la cosa più sorprendente è che la statuta sembra esser stata scolpita ieri. Nessun segno del tempo e delle intemperie. La statua si trova nella posizione chiamata Kayotsarga, che indica il perfetto self control. E’ completamente nuda, a rappresentare la rinuncia ai legami mondani, tipica del jainismo.

 

La giornata volge al termine, un po’ come l nostre energie. Torniamo sul pullman per affrontare le due ore del viaggio di ritorno. Questo giro niente Aqua indiani, siamo cotti.

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