
Questa mattina allo specchio invece della mia faccia mi osservava un leone. Senza criniera, tra l’altro. A uno sguardo più attento mi sono resa conto che il leone che mi fissava ero io: avevo gli occhi gonfi, un po’ alla Bud Spencer. E mi muovevo come Robocop.
Così conciata mi sono diretta, sempre col mio tappetino frugale indiano, alla sala di pratica. Steso il tappetino, mi sono resa conto che fare una pratica appena un po’ attiva o intensa sarebbe stato il colpo di grazia, così mi sono concessa una sessione di Pranayama, Yin e Restorative Yoga, insieme ad Ale, che si è preso una mattina di pausa dalla pratica dell’ashtanga.
E’ stata una sensazione particolare quella di stamattina. Da una parte la calma e la pace della nostra pratica, dall’altra il vigore e l’energia della loro. Un mix di sensazioni ed emozioni che si potevano percepire a fior di pelle. Mi sono fermata a osservare per qualche istante i corpi sudati muoversi al ritmo della pratica, alcuni tutti insieme, altri al proprio ritmo. A un certo punto mi cade l’occhio sulla schiena di Marianna. E’ strana. Indossa una canottiera e sembra avere dei riccioli di pelo qua e là. La guardo meglio, poi mi guardo le mani e i piedi. Il nostro tappetino frugale si sta depilando un po’ alla volta e noi stiamo diventando come Barba-barba.
Il programma di oggi prevede un giro al Jaganmaha Palace, la residenza “di scorta” del famoso Maraja di Mysore grazie al quale oggi lo yoga è così famoso e diffuso. Oggi ospita un museo, più simile a un mercatino delle pulci a dire il vero. Polvere ovunque, mal illuminato e con oggetti e quadri distribuiti e assortiti in maniera davvero “particolare”.
Il pomeriggio lo dedichiamo alla visita del Venugopalaswamy Temple. E’ la mia terza visita a questo posto, che ogni volta riesce a sorprendermi e a farmi vivere emozioni completamente differenti. La prima volta ci siamo capitati nel pieno della registrazione di un film di Bollywood. Un’esperienza a dir poco surreale che ho raccontato qui
La seconda volta ci sono tornata con quel ricordo, e ho provato un senso di delusione. Avere delle aspettative sono il modo migliore per rovinarsi un’esperienza, così oggi sono andata con uno spirito “neutro”.
Il viaggio , in tuk tuk, è il preludio perfetto. Oggi il cielo è nuvoloso e soffia un’arietta fresca, che rende piacevole un viaggio del genere, rischio di frontali, biche a parte, intendo. La strada si snoda tra villaggetti colorati, dove è possibile vedere lo scorrere quotidiano della vita indiana. Banchetti che vendono frutta, per lo più banane, manghi, papaye, noci di cocco, dragonfruit e i tremendi jackfruit, si alternano a banchetti che vendono un mix di cose assurde e, a volte, difficilmente identificabili. Le persone che abitano in questi posti non sono abituate a vedere forestieri; lo si vede dai loro sguardi curiosi e dal modo in cui si affrettano a salutare sorridenti.
Il nostro tuk tuk è guidato da nientepopodimenoche Krishna, il cocchiere divino. Edo ha aspettative molto alte sulla gara tra i nostri tuk tuk e gli carica la molla. Vuole assolutamente arrivare primo. Sfioriamo per un pelo la vittoria all’andata, dove arriviamo secondi per un soffio. Al ritorno seminiamo tutti e ci gustiamo già la vittoria trionfale; dei nostri compagni-rivali non c’è traccia. Arrivati alla scala ci rendiamo conto che sono loro ad averci seminati: siamo arrivati ultimi. Il bro non ce l’ha fatta.
Il Venugopalaswamy Temple che ho vissuto oggi è stato qualcosa di magico. Siamo quasi da soli e lo visitiamo in quasi-silenzio. Le sue linee sono pulite, essenziali, quasi scarne. Non sembra proprio un tempio induista, normalmente carico ed eccessivo. Al centro la struttura che ospita la sala dove si trova la statua di Krishna, al quale è dedicato; tutto intorno una serie di nicchie. Sul lato sinistro queste nicchie ospitano le statue delle diverse forme di Lakshmi, la paredra di Vishnu. Sul lato in fondo le statue dei Navagraha, i 9 pianeti. Non li riconosco subito, le scritte sono in Kannada (credo), ma quando scorgo una divinità seduta su un corvo non ho dubbi, è SHani, Saturno. Così torno indietro e con Chiara cominciamo a dare il nome a ognuno. Che meraviglia! Ci sono anche Rahu e Ketu, i due nodi lunari che rappresentano le eclissi. Lungo il lato destro un’altra meraviglia: i dashavatara, i 10 avatara di Vishnu, e a seguire i Saptarishi, i 7 saggi che oggi possiamo ammirare come stelle dell’Orsa Maggiore. Sono al settimo cielo.
Il resto del pomeriggio lo passiamo ai giardini di Brindavan, niente di che. La cosa più interessante è stata la pannocchia abbrustolita che ci siamo mangiati.
Domani ci aspetta una giornata libera a zonzo per Mysore.
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