Varanasi 2024 – giorno 3
Oggi fa caldo. Molto caldo. Ci sono 43 gradi. Entrando in bagno, la parte più calda della camera, ho avuto la sensazione di avere la febbre. Quando ho acceso la doccia per lavarmi le gocce bollenti mi hanno fatto desistere. Ho usato l’acqua messa da parte ieri sera e raffreddata mio bagno, nel secchio, durante la notte. Dopo la pratica e la colazione Siamo andati a fare visita a tre templi. Abbiamo preso il Tuk Tuk e siamo andati con Sudanshu e Ajit (per fortuna). Avere una persona del posto è molto utile qui, ancora più che a Mysore.
Oggi c’è parecchio traffico. Peggio del solito, molto più rumoroso e nervoso. A un certo punto, davanti a noi, una moto carica di scarpe all’inverosimile si inclina di lato. In un batter d’occhio si materializzano una serie di personaggi, Ajit compreso, che si fiondano ad aiutare il malcapitato. I clacson non cessano, ci mancherebbe, ma il traffico si ferma momentaneamente per aiutarlo a issare il carico.
Il primo luogo che andiamo a vedere è quello dove si trova la statua del fondatore della Aghor Foundation. Almeno così ho capito, perché tra guru, guru del guru guru del guru del guru mi trovo un po’ in difficoltà. Comunque era un guru.
L’aspetto è di una costruzione “moderna”, gialla e rossa, in un giardino al quale si accede da un cancello che da su una strada strombazzante. Sudanshu ci invita a lasciare le scarpe sul Tuk Tuk e ci racconta che nel parco troveremo una serie di linga, piccole e grandi. Sono state costruite sui corpi di alcuni sadhu che sono andati a meditare e hanno lasciato il proprio corpo lì, in samadhi (i corpi stessi vengono definiti samadhi). Anche sotto la statua del guru si trova il suo corpo. Ci incamminiamo, l’asfalto bolle sotto i nostri piedi e cerchiamo di camminare velocemente, usando meno parte di pianta del piede possibile. Sudanshu e Ajit camminano tranquillamente, come se nulla fosse. Ci mostra un focolare dove si trovano delle braci prelevate nel 1500 dai campi crematori sul Gange e tenuti in vita da allora e ci fa vedere il parco, cosparso di linga qua e là. Ci racconta (e mostra) di come conigli, cani, galli e galline vivano tranquillamente giocando tra di loro. Mi viene in mente la storia del saggio Dadici e quello che Patanjali negli Yoga Sutra a proposito di Ahimsa: chi pratica la non violenza è in grado di influenzare positivamente chi gli sta intorno, facendo cessare ogni conflitto. In fondo la parco si trova il refettorio, una struttura molto semplice, aperta. Ai muri si trovano quadri che rappresentano la vita del Guru: il suo concepimento (molto simile a quello di Gesù) con le tre divinità Brahama, Vishnu e Shiva giunti a rendere omaggio, il racconto di come avesse rifiutato di mangiare la carne offertagli da un saggio perché aveva fame e di come, dopo tre giorni di digiuno, avesse deciso di accettare la carne da mangiare o di quando ha aiutato una serie di sadhu imprigionati e ridotti ai lavori forzati perché vivevano di elemosina, facendo lavorare da sole le macchine che dovevano utilizzare. Chiudiamo il giro andando verso lo stagno artificiale dove si dice che si sia immerso il guru per riemergere a una distanza di 100km. Per accedervi dobbiamo scendere una breve scalinata fatta di mattoni rossi. Le pietre sotto i piedi sono bollenti, ma sembrano gelide in confronto alla temperatura di questi mattoni. Facciamo gli scalini di corsa, a momenti finiamo nella piscina, che si dice guarisca tutti i mali, ma solo il giovedì e la domenica. Oggi è sabato. Niente. I piedi bruciano, siamo tutti ammassati in uno spicchio d’ombra, mentre enormi pesci gatto ci fissano spalancando la bocca. Prendiamo coraggio e torniamo su correndo per la scalinata.
Il secondo tempio è dedicato a Maha Durga, tutto un altro aspetto, molto più simile ai templi del Sud ai quali sono abituata: colpi, baraonda, gente che ti chiama e ti strattona, musica altissima, anche un po’ da discoteca, tra l’altro. L’esperienza non è però delle migliori. Ci si attacca un bramino che comincia a vessarci per avere soldi. Prima di entrare abbiamo comprato dei fiori da offrire, ma lui vuole proprio dei soldi e si incattivisce sempre più dicendo cose che non riusciamo a capire, ma che evidentemente fanno arrabbiare persino Sudanshu, che ho sempre visto calmo e sorridente. Usciamo in fretta e furia e, ovviamente scalzi e doloranti, andiamo a cercare il Tuk Tuk dove abbiamo lasciato le ciabatte.
L’ultimo tempio è il mio preferito, quello dedicato ad Hanuman, dove eravamo già stati l’anno scorso e che aveva entusiasmato Edo. Peccato che quest’anno non ci sia, perché il giorno del tempio di Hanuman è proprio il sabato! Folle a parte, il clima è spettacolare. Facciamo partire un Jay Sri Ram che scatena una serie di cori da stadio tra i fedeli che saltano e urlano felici. Edo quanto ti saresti divertito oggi con il Bro!
Ultima brasata sulla graticola per le piante dei nostri piedi e torniamo in ashram. Prima di pranzo andremo a distribuire ai poveri i pasti che le donne del progetto Shakti hanno cucinato. Questo è un progetto molto bello, gestito da questa fondazione che aiuta le donne con i mariti che le maltrattano o che si bevono tutto quello che guadagnano, insegnando loro un lavoro (fare mala, diventare estetista per esempio) e le donne in cambio lavorano per gli altri poveri. È una catena virtuosa dove ognuno fa del bene per avere un beneficio che girerà a qualcun altro e non terrà per sé, Così, per esempio, noi oggi andremo a distribuire pasti e Anjit, in cambio, vuole servire a noi il pasto, senza farci alzare da tavola.
Ci dividiamo, ognuno ha qualcosa da fare: chi dà i piatti, chi i bicchieri, chi distribuisce il kitchari (credo si chiami così il cibo cucinato oggi che mangeremo anche noi, dopo, quando avremo finito), chi distribuisce l’acqua. Ci sono tanti bambini, ma anche tanti adulti che si presentano un po’ alla volta e che poi passano prendere una porzione da portare a casa per i parenti che non sono potuti venire di persona. In un angolo un piccolo cagnolino ulula. Il “capo” ci dice che sta male, che pensano che stia morendo che per questo lo portano al tempio, mentre un ragazzo cerca di farlo bere e di dargli da mangiare il suo kitchari. Mi viene un nodo alla gola. Una serie di emozioni e pensieri che non riesco neanche a inquadrare bene mi passano per la testa.
Un po’ alla volta le persone vanno, con i loro sacchetti, i bambini restano a giocare e a guardarci curiosi. Un signore viene da noi per ringraziarci. Era arrivato con la sguardo stralunato, camminava a stento. Ora fa il giro di tutto il gruppo, vuole ringraziarci uno per uno. Peccato che sabato prossimo saremo già a casa.
Ci sediamo sotto un Peepal. Ajit ci racconta che è l’unico albero che produce ossigeno 24 ore su 24. Ora ha poche foglie (si fa per dire) perché è autunno. Autunno?! Come autunno? Ci sono 43 gradi! Lui indica il terreno, ricoperto di foglie: stanno cadendo le foglie, è autunno adesso.
Dopo mangiato ci riposiamo un po’. Il caldo oggi picchia, e alle 4 andiamo a bere un bicchiere di lassi (il più buono mai provato) prima di metterci all’opera e fare le pulizie tutti insieme: pavimenti, vetri, tappetini, cuscini etc.
Finiamo in bagno di sudore. Doccia e appuntamento sul tetto per un po’ di mantra. Stanno ampliando l’ashram, ci sono i lavori in corso e per arrivare in cima dobbiamo fare un percorso a ostacoli, ma la vista su Varanasi è meravigliosa e da qui si vede ancora di più la differenza tra il Gange in piena, durante il periodo delle piogge, e ora, che siamo quasi al minimo. Fino a luglio le temperature saliranno ancora fino a 50 gradi, per poi ricominciare a scendere con l’arrivo delle piogge.
Come sempre l’arti qui all’ashram è emozionante, con i tamburi, la conchiglia, il cane che ulula e i ragazzi che cantano. Continua a venirmi la pelle d’oca nonostante ne abbia viste già un po’.
Il clima è sempre più familiare qui, come capita tutte le volte che veniamo in India. Si lascia sempre un pezzetto di cuore.
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